mercoledì 26 agosto 2009

Magnitudo Solitudinis

Una capitale europea. Qualche giorno libero. Solo.
Immergersi nell’alternanza architettoniche di stili e periodi.
Fregi, stazioni, insegne, lampioni, ristoranti, musei, fontane, lastricati, restauri, giardini, negozi, gallerie, ponti, piazze, bar, statue, ristrutturazioni, scalinate, bus, parchi, affrontati così come si presentano.
La curiosità unico criterio. Senza orari o costrizioni che non siano dati dalle gambe o dallo stomaco.
Volti che si incrociano, profili che attendono il verde.
Mi piacerebbe fotografare migliaia di volti in ogni città, ma temo sempre di essere invadente. Ci vorrebbe uno zoom da mutuo…
Eppure sono infinite le espressioni dei passeggeri di una metropolitana : quante varianti della melanconia negli impiegati sugli strapuntini, mentre sembra sempre identica l’aria sperduta dei turisti appena arrivati, siano essi pragmatici anglosassoni un po’ goffi alla ricerca di un po’ di bohème, attrezzatissimi teutonici essenziali d’abito e traboccanti guide e mappe, rumorose comitive spagnole un po’ sbracate, coppie di sposi italiani dai set di valigie uguali per sentirsi un viaggio solo o per non dover litigare anche su quelle in caso vada male.
E non si può non vivere, una volta nella vita, il mescolarsi serale di coloro che rientrano e di coloro che escono, la coabitazione di mise da sera con stanchi portatori di zaini e valigette. A ogni stazione si rinnova il mistero di volti riflessi in finestrini che danno sul buio.
La concentrazione, lo stupore, il rapimento dei visitatori di un museo. La noia dei bambini, e il loro illuminarsi quando finalmente trovano qualcosa che li incuriosisce o, più semplicemente, con cui giocare. Adulti e bambini, tutti con la stessa voglia di toccare con mano. Tutti lì, a reprimere a stento la voglia di tuffarcisi dentro e non tornare più, dispersi in tavolozze immortali.
L’ansia, la rilassatezza, la fretta, l’allegria, delle persone a passeggio nelle strade più note o più affollate. Lo spettacolo di quelli che si aspettano nel punto stabilito, la faccia del “dove si sarà cacciato?”, ora simile ad un cane da punta, ora preoccupata, talvolta distratta, sempre nervosa. I maschi ai primi appuntamenti li riconosci non per l’età, un dettaglio indifferente, ma perchè sono vestiti come nei manifesti, sono lì da prima di te, ti guardano male ogni tanto e, quando passata un’interminabile frazione d’ora di prammatico ritardo lei arriva, tirano fuori le sigarette dopo averla baciata. E se ne vanno abbracciandola e guardandoti di sfuggita con aria sorniona, come se lei fosse il premio. Il premio della tacita gara per non aver acceso nessuna delle tre o quattro che invece tu gli hai fumato in faccia. Il premio per l’impresa dell’eroe, per il sacrificio, per la volontà. O forse cercano un pizzico di invidia sul tuo volto di uomo solo, mentre “guarda che pezzo di donna mi porto appresso io”. Chissà se qualche volta hanno pensato, “Ehi amico, spero che arrivi anche la tua”. No. Al massimo di solidarietà avranno pensato “Spero tu abbia un altro pacchetto”. I più ironici “Se domani leggo di un cadavere per intossicazione, so chi è”. I più caustici “Spero che arrivi la tua femmina, sennò sarai un altro che peserà sulla sanità pubblica”.
Le donne invece, se aspettano, aspettano solo le amiche. E se fumano, fumano e basta. Al massimo fingono di non trovare l’accendino per vedere se qualcuno se ne accorge e con ciò confermare a sé stesse che c’è sempre qualcuno che le guarda, anche se gli anni non son più venticinque. O proprio per quello.
Le sagome in controluce, sullo sfondo del riverbero di uno specchio d’acqua, ricordano attimi di pittura futurista, mentre le pose e le espressioni delle persone nei parchi vagheggiano impressionismi di altre latitudini. Il manierismo delle donne fasciate in coloratissime tuniche lunghe e leggere mi lascia un po’ interdetto e le scollature generose mi rammentano lontane stagioni neoclassiche. Gli abiti da ufficio, neri ed aderenti, dagli orli svolazzanti mi gettano nell’astrattismo dadaista e quelli di misto seta stampata a fiorellini evocano paraventi orientali e broccati alle pareti, inventando nella mia mente interni di bordelli fin-du-siecle alla Toulouse-Lautrec. Magliette colorate su minigonne ed hot pants suggeriscono serie di seni solarizzati degne di Warhol, mentre dall’altra parte della strada un jeans attillatissimo mi fa balenare nella mente il gesto rapidissimo e feroce di un Fontana spaziale.
Cercare di riconoscere i codici dietro gli abiti e i gesti. Curiosare tra gli accessori : quelli portati con cura, poche volte, e quelli ormai logori, agendine stropicciate, braccialetti incrinati, portafogli grinzosi, più o meno tutti all’origine di un gesto ripetuto a intervalli regolari, come una firma personale allo scorrere del tempo, alla noia del tragitto, al ritmo nelle cuffie.
Già… I lettori MP3… I pollici sembrano sirene ululanti di un’ambulanza del Pronto Soccorso Emozionale, nel loro spasmodico roteare e cliccare, alla ricerca del titolo o dell’autore adatto all’umore, al ricordo, al sogno, all’atmosfera, al sapore del momento.
Cosa darei per sapere cosa ascoltano, cosa pensano, cosa cercano, quei volti bellissimi nella loro sfavillante stanchezza, quegli occhi dalle sfumature verdi, azzurre, castane, grigie. Truccati, spenti, socchiusi… Occhi indifferenti, persi chissà dove, sognanti, freddi, velati di nostalgia… Occhi cattivi… Occhi supplicanti… Occhi innamorati, immobili nella contemplazione del volto che li accompagna. Occhi infantilmente spalancati di fronte a quel via vai di ordinaria bizzarria. Occhi distratti, occhi in fuga, occhi indispettiti, occhi divertiti dagli sms, occhi di figli in carrozzina e di orgogliosi genitori stremati. Occhi seminascosti da capelli mossi dal vento…
Centinaia di migliaia di occhi che guardano e forse non vedono, centinaia di migliaia di orecchie che ascoltano e forse non sentono la vita che palpita nelle mattonelle dissestate e traballanti fatte apposta per far inciampare i predestinati ad incontrarsi, nei bassorilievi incrostati ed erosi dal vento e dalla pioggia, anneriti dal traffico, umiliati dai piccioni. Il ritmo della città, di sera, è lo scorrere del fiume delle luci rosse e bianche dei serpenti di auto, la sua vis comica sta negli sguardi dei fotografi che guardano gli schermi LCD delle digitali tascabili. E allora, come non comprendere i vampiri di fronte a bellissimi colli scoperti dalle capigliature raccolte sulla nuca con una cannuccia di bambù?
Perdonatemi, non c’è nulla di più bello e sconvolgente di una donna che ti sorride. Questa città mi ha sorriso, ed io non capisco più niente.