mercoledì 24 marzo 2010

Il testamento del Capitano


Carissimi, non dovessi rientrare dalla prossima missione, mi piacerebbe che queste miei “ultimi desideri” venissero rispettati, per quanto possibile e senza troppe illusioni.

Intanto prego voi e tutti gli amici di non parlare a nessuno, di nessuno, con nessuno, per nessuno, se non inter vos.

Vorrei che i politici tacessero, tutti. E quelli che per dovere istituzionale devono parlare alla Nazione, beh, vorrei che dicessero solo cose che abbiano un senso. Ad esempio è inutile stare a discutere mille volte sulla missione. Siamo soldati, la morte fa parte dei rischi del mestiere, se non si vogliono rischiare morti allora è inutile mandarci in giro, ma è anche inutile starnazzare sull’Umanità meravigliosa prossima ventura e pretendere di essere ascoltati. Del resto mica siamo armati a maccheroni, chiedetelo a quelli dall’altra parte. E chiedetegli perché non combattono sul serio : perché, per loro, siamo troppo forti, troppo addestrati, troppo attrezzati. Possono solo sperare di fiaccare, più che noi, voi a casa, con “piccoli” attacchi sfibranti. E non esiste difesa, blindatura o spessore di muro che non possa essere fatto saltare.

Prego anche i miei commilitoni di ogni ordine e grado di evitare scene penose di fronte alle telecamere. L’unica cosa che vorrei vedere è una grintosa voglia di fargliela pagare. Vorrei vedere affilare i pugnali e marciare cantando. Vorrei vedere fierezza, non mestizia. E gioia, perché morire per la Patria è meglio di morire un sabato notte per colpa di qualche tossico (almeno quelli dall’altra parte un motivo migliore del nulla o dello sballo ce l’hanno), e non parliamo degli incidenti nei cantieri o di crepare con tubicini dappertutto su un lettino d’ospedale. Non se ne parla proprio, non c’è paragone. Se leggerete queste righe sappiate che, se deve accadere, meglio così : con un’arma in mano e attorniato dai miei fratelli, piuttosto che solo e in mano altrui.

Desidererei anche che si evitassero le sparate retoriche tipo “sono tutti eroi”. Gli Eroi sono quelli che vanno all’assalto delle trincee nemiche armati di stampella, sono quelli che guidano gli uomini all’assalto senza le mani (come durante la ritirata di Russia), che resistono senza cibo e acqua e con armi inadeguate o fatte al momento (come in Africa). Ed anche in caso di un episodio tattico “normale”, beh, insomma, non è che accada sempre di ritrovarsi a compiere atti eroici come quelli. C’è ben poco di eroico, per un soldato, nel saltare in aria per una IED o una mina. Ho sempre pensato che questa facilità nel dare la patente di eroe sia tutta da giornalista deamicisiano (e mi perdoni De Amicis…). Il fatto è che in una Nazione in cui lo sport più diffuso sembra sia scantonare il proprio dovere, in cui non è che abbondino esempi di abnegazione o di semplice rettitudine, in cui sembra sempre che paghi la furbizia o il piccolo egoismo, ed in cui gli esempi dati dalle persone che incarnano l’Autorità e le Istituzioni sono… quelli che sono, appare incredibile che ci siano ancora persone che accettano di crepare per dovere. E quindi eccoci trasformati tutti in Eroi, ma solo perché si è dimenticato che esistono mestieri (e quello delle armi lo è per definizione) fatti di significati, simboli e principi che travalicano retribuzione, successo, facile notorietà e cazzate varie così di moda.

Pertanto si eviti di applaudire ai funerali. Capisco che il silenzio, in questa civiltà invasa dal brusìo e dal rumore continui e penetranti, terrorizzi. Ma si applaude agli spettacoli. Anche se oggi ci si sente vivi solo di fronte a uno spettacolo, e quindi si è spettacolarizzato tutto, anche i funerali. Ormai è divenuto normale applaudire, perché siamo tutti un pubblico, una platea (magari in attesa dei famosi 15 minuti di “gloria” mediatica). Ma al mio, no. Io non sono crepato per dare spettacolo, per regalare un’emozione, per dare occasione a politici e giornalisti e comparse di ruolo di sfoggiare le sfumature tristi della loro capacità di interpretazione. Non crepo certo per ricordare agli altri che sono vivi. Sparategli se ci provano, così sentiranno cosa si prova a pensarsi protagonisti del funeral-show. E non mi raccontate che sia un gesto liberatorio o che sia un omaggio. Capisco per la gente di spettacolo, che di applausi vive. Ma allora, se dovete proprio far caciara, fatemi sentire una bella salva di cannoni ! Più sobriamente, vorrei due silenzi : il vostro e quello fuori ordinanza.

Certo, mi rendo conto che se fossi un “eroe” le cose sarebbero più semplici per voi. Perlomeno potreste, più facilmente, farvene una ragione, trovare una giustificazione… Se uno muore da eroe, allora qualche buona ragione c’era, allora si è sacrificato scientemente, non è stato invano, etc. etc. Beh, in realtà, è raro che sia così. Sarebbe mentirvi e mentire a sé stessi. Si muore e basta. Dove capita e quando capita. Si spera solo che sia rapido.
La dicitura corretta è “caduto in combattimento”. E direi che nella sua secchezza burocratica dice già tutto, non c’è nulla da aggiungere (anzi, nel caso, non mi dispiacerebbe fosse inciso sulla lapide). Ed è di questo sopratutto che dovrete essere fieri. Se poi ci sarà di più, meglio. Ma non accettate sconti, né titoli non dovuti : esiste una gerarchia anche nella schiera dei morti per la Patria ed io non voglio vergognarmi di fronte a chi mi ha preceduto per un nastrino immeritato.

E’ tutto. A parte vi lascio le disposizioni per alcune cose pratiche, per alcuni oggetti personali e un pensiero per ciascuno di voi. Addio.

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