lunedì 18 maggio 2009

Orizzonti

Tentare di guardare lontano. Almeno tentare.
Le siepi dei giardini di Recanati valgono la visione di un nuovo orizzonte?
Oh, certo, nel pensiero tutto si può fingere. Ma bombardati come siamo oggi da illusorie realtà, abbiamo forse bisogno di regalarci altre finzioni?
Affondando lentamente nel cemento e schiantati dal rumore di fondo di una civiltà allo sbando, non val forse la pena di cercarli quegli "interminati spazi", quei "sovrumani silenzi"?
Allora il naufragare diviene metafora di un viaggio senza fine, dove la mèta è l'orizzonte di domani.
Ulisse riparte per superare le Colonne d'Ercole.
Non prima d'aver acquistato, a rate tasso zero, s'intende, l'ultimo modello di telaio per Penelope.
Al ritorno troveremo Itaca trasmutata in Fabbrica, grazie ai sacrifici ad Efesto e Vulcano : una razionale, prometeica, divisione del lavoro in cui gli uomini curano le greggi ed ottengono materia prima, mentre le donne producono incessantemente tele e tappeti su telai ben allineati in nuovi edifici. I vecchi si occupano dei bambini, mentre gli adolescenti si occupano dei trasporti.
Penelope è intenta a verificare che il meccanismo non s'inceppi : a colazione, distesa sul letto che Ulisse, quasi un protodesigner, realizzò con un tronco d'ulivo, controlla gli ordinativi; segue verifica delle scorte di magazzino; un piccione viaggiatore le porterà le tavolette di cera con i rendiconti appena in tempo per il pranzo. Al pomeriggio discuterà con gli armatori il prezzo del noleggio delle navi e ascolterà le delegazioni dei sudditi, di solito petizioni per migliorare la qualità dei servizi di welfare. Poco prima di cena un pò di body massage o una scaricante seduta di esercizi col personal trainer. Cena con gli intendenti, pardon, i manager dei vari settori, per motivarli meglio...
Ulisse era come ipnotizzato dalla modernità al suo meglio : lo stantuffìo ritmato dei telai e delle macchine del packaging erano un requiem immaginifico per quel piccolo mondo agreste che chiamava "casa". Mi guardò e disse : "Chabert, forse il tuo amico Giacomo non aveva tutti i torti a voler stare dietro la siepe".
Penelope, più che guardarci, ci squadrò. Altera, splendida, perfetta. Adorna di pepli e gioielli, forse solo un Fidia o un Canova potrebbero, per così dire, descriverla adeguatamente in una delle loro stupefacenti trasformazioni della pietra. Ma lo sguardo era vagamente schifato. Del resto, che potevano pretendere le pelli grezze e puzzolenti di animali sconosciuti indossate da Ulisse e dai suoi marinai, le barbe lunghe e non curate, le mani lacere di sartiame e salsedine, le carnagioni chiazzate dalle impronte dei mille soli di latitudini note solo alla nostra memoria. Giusto la mia uniforme napoleonica spuntò un'espressione di lucrosa curiosità, come vaga intuizione di un nuovo filone di prodotti. Ma fu solo un attimo. Lo sguardo tornò severo. Puntò dritto e feroce su Ulisse come la freccia di Paride contro Achille : "Ecco tornato l'astuto Ulisse... Avrai finito finalmente di bighellonare per i mari coi tuoi amici, mentre io mando avanti il regno. Sarà ora che ti trovi una occupazione produttiva, anzichè rischiare la pelle prima per quel cornuto impotente di Menelao e poi per la tua curiosità, per la voglia di sapere cosa c'è più in là. Un accidenti! Ecco cosa c'è. E torni sempre a mani vuote, mai qualcosa di utile, men che meno un pensierino per me, che mi faccio una testa così a mandare avanti casa, lavoro, sudditi, imposte, Giustizia, Difesa, Interni, Dogane e tutto il resto. Astuto sì, eccome! Lui in giro a divertirsi, io a casa a far la maglia... Ma stavolta non finisce così. Sono stufa di questo via vai senza programmazione, senza scadenze, senza un progetto, se non di vita, almeno di periodo... E poi, per Giove, torni sempre in condizioni pietose... Manco i Proci al sabato sera...". Emise una sorta di ringhio e ci fissò uno dopo l'altro dalla testa ai piedi, tamburellando nervosamente con la mano destra ed il piede sinistro in sincrono, seguendo il ritmo del rumore di sottofondo che proveniva dalle fabbriche. Con l'altra mano, intanto, torturava il cordone con cui impartiva gli ordini ai servi addetti a gestire la sala delle udienze, secondo un codice prestabilito tanto enigmatico e misterioso quanto secco e senza appello. Almeno così mi sembrò, in quel frangente.
Nessuno riuscì a dir nulla. E nulla vi era da dire. Si trattava solo di uno dei periodici incontri fra dei mondi destinati a soccombersi vicendevolmente di volta in volta.
Il manager dei trasporti ed il segretario generale, da dietro una colonna, con ampi gesti e leggeri colpi di una tosse falsa come i loro bilanci, richiamarono Penelope ai suoi doveri prefissati, la cui cadenza oraria e semioraria era stata stravolta dal ritorno di quella ciurmaglia, che avrebbe potuto più opportunamente presentarsi ad un orario più consono con reciproco vantaggio, essendo noto che nel tardo pomeriggio la regina, per così dire, allentava le redini.
Finita la disanima di quel branco di animali come certamente dovevamo apparire ai suoi occhi pittati, Penelope assentì leggermente col capo verso i due maneggioni e, con un gesto di stizza, ci indicò una porta laterale. A capo chino infilammo un corridoio che, a dispetto della sua ampiezza, ci parve un cunicolo verso il patibolo. Procedemmo fino ad un ampia sala aperta, il cui centro era una grande vasca d'acqua color turchese, tiepida e profumata di spezie, con un vago retrogusto di miele e vaniglia, secondo le spiegazioni di una sorta di sommelier delle acque termali, che ci guardava visibilmente preoccupato all'idea dell'imminente immersione di quei corpi rozzi e sudici nel suo delicato capolavoro liquido.
Ulisse, nudo, seduto sul bordo della vasca, leggermente incurvato, le braccia conserte, aveva lo sguardo fisso nel vuoto o, chissà, perso nel ricordo di uno degli orizzonti dei mesi precedenti, e sembrava cercare ancora, nel calmo e mellifluo vapore che ci andava avvolgendo, il sapore netto ed aspro del vento freddo che sferza e gonfia il mare appena prima della tempesta. La sua voce, così ferma in battaglia e sicura nella tempesta, ora si scioglieva in un gorgoglìo flebile, stentato, a metà fra un vagito infantile e il rantolo di un moribondo : "No, non c'è differenza fra me e quel tal Giacomo... Invero, per quelli come noi, l'errore assegnatoci dal Fato, cui non possiamo sfuggire, è tornare".

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