venerdì 12 giugno 2009

La sconfitta

Guardarsi attorno e d'un tratto capire che il domani era ieri.
Sentirsi il contrario di ciò che si cercava di essere.
Un vuoto enorme, dentro ed intorno. Pesante come un macigno.
Un vuoto che schiaccia, immobilizza e, talvolta, percuote.
Ansia, angoscia, tremore in ogni parte del corpo...

La sconfitta.

Accorgersi di percorrere un sentiero secondario di campagna anzichè le strade larghe e centrali di una città conquistata.
La solitudine al posto delle ali di folla curiosa e a volte plaudente, per paura o per quel senso di liberazione che scaturisce nell'animo quando una grave faccenda si risolve, qualunque sia l'esito, un attimo prima della gioia o della rabbia.
Nella mente, per mesi, riaffiorano episodi sconnessi della battaglia perduta. Ordini e omissioni, eroismi e viltà, slanci ed esitazioni, tutto si confonde nella mente come la visione del campo di battaglia nella Nebbia di Guerra. E tutto si amplifica e si rimpicciolisce. Solo il suono della battaglia rimane invariato. Un sottofondo costante, ormai assimilato dalle cellule della mente come un copione dopo migliaia e migliaia di prove e di repliche. Crepitii di moschetti, rombi cupi dei pezzi da 12 libbre, il fischio dei proietti nemici in arrivo, la percussione degli zoccoli, sbuffi, nitriti, le ruote dei carriaggi, grida, urla, imprecazioni, sibili e clangori di acciaio contro acciaio...

Nessun'altra voce ti parla, nessun'altra ascolti...

Accorgersi del proprio respiro inutilmente affannoso, poichè non c'è sforzo o terreno che ne giustifichi la difficoltà, solo al ricordo dell'acre fumo che ti avvolge in battaglia. Essere squassati da una tosse secca e falsa che graffia la gola e la lascia quasi sanguinante, appena sembra di percepire anche solo l'ombra dell'odore della polvere sputata dalle lunghe canne dei fucili, dalle canne brunite dei cannoni.
E gli occhi... Gonfi, rossi, fissi... Continuamente sfregati sulle maniche della giubba o incessantemente sciacquati ad ogni ruscello o fontana. Il persistente fastidio della luce, un'invisibile spada che sembra trafiggerti ad ogni battito di ciglia.
Guardare soltanto il terreno del prossimo passo... Nessuna distratta osservazione delle genti sulla via, come nelle marce. Nessuno sforzo di contemplazione dei paesaggi, come nelle albe di poco tempo prima. Anzi, meglio muoversi al tramonto e durante la notte. Lo sconfitto non ama esser visto dagli occhi altrui, mentre i suoi sono assai meglio disposti all'ombra.
Del resto è la Luna ad aver visto le nostre pene ed i nostri pianti.
Al sole si può solo combattere e morire.
Alla fine dello scontro, nell'oscurità, Vittoria e Sconfitta divengono medesima cosa, nei fiochi lamenti dei moribondi, nei gemiti supplichevoli dei feriti, nelle urla ancestrali degli amputati, degli sventrati, dei trafitti, dei colpiti, degli sciabolati... La Morte pare nulla, a confronto.
L'odore della carne bruciata, del sangue rappreso, degli stomaci divelti, della terra umida, scavata, rivoltata, squarciata. Una sorta di zuppa farcita di corpi esangui. Condita di arti strappati. Il cibo della Storia.

Giorno dopo giorno, passo dopo passo, respiro dopo respiro... Ricomporre i pezzi dell'esistenza, riedificare un edificio di routine, di abitudini, di rituali, di gesti, di frasi... Squilli lontani di tromba, ordini, controllare le dotazioni, provare e riprovare i cambi di formazione, ingrassare il cuoiame, affilare le sciabole e le baionette, asciugare le polveri, grancasse e tamburi, lucidare gli ottoni, caricare i barili, preparare i cassoni, scherzare con le vivandiere, strigliare cavalli, requisire alloggi, montare i bivacchi e le tende, inciampare nei secchi e nelle bottiglie, studiare i volti dei rimpiazzi, abbracciare i camerati sopravvissuti, scrivere a casa, parata il sabato, messa la domenica.
Attendere la prossima battaglia.

mercoledì 3 giugno 2009

Camporella elettorale

Mi sono ripromesso di non parlare, qui, di politica.

Eppure non riesco a contenere il bisogno di gridare, da questo sgabello elettronico nella piazza virtuale, il mio sdegno per ciò che sta succedendo.

Una volta c'erano le "campagne elettorali". Il termine "campagna" aveva una chiara accezione militare. Si trattava di "battere" il terreno, ovvero le piazze, argomentando pubblicamente. Che si facesse tramite radio o televisione, cambiava poco. Si trattava sempre di convincere i "neutrali" a schierarsi con la propria fazione.

La massa dell'elettorato stava all'interno di una sorta di campo di prigionia (la Storia) sulle cui torrette stavano i politici che accendevano i riflettori su una parte di questa massa per identificarla, segmentarla, comprenderla, forse, e cercare di spostarla dove voleva. Un pò lugubre, forse. Ma la massa era posta al centro del terreno, era "bersaglio", era l'oggetto della contesa a mezzo riflettori.

Poi è arrivata la spettacolarizzazione, la personalizzazione, l'ideologia dell' "àpres moi, le diluge", la denigrazione sistematica, l'abbassamento abissale del livello del ceto politico, le invasioni di campo. Infine la superficialità come virtù "orizzontale" dei Barbari (grazie Baricco).
Conseguenza : la gossip-politik, il bucoserraturismo, il velinismo estetico, il moralismo (che è privo in sè di ogni morale e come tale è padre putativo di tutti i fanatismi) di ritorno, le sbandate ipocrite, le claques plaudenti degli studi televisivi.

E queste claques che plaudono ai passaggi dialettici più significativi del proprio leader mi ricordano il pubblico (che applaudiva più per farsi vedere che per direttiva di regia) di un'antica trasmissione televisiva estiva "Giochi senza frontiere", disfida internazionale di giochi a squadre.

Ecco la trasformazione : oggi non c'è più quel lugubre campo con le torrette, ma uno sfavillante e coloratissimo campo sportivo attrezzato per le più mirabolanti evoluzioni di "giocolieri dialettici". E la massa (che era al centro) ora si è comodamente seduta sulle gradinate per vedere lo spettacolo, peraltro inquadrata solo assieme al tabellone dei punteggi, giusto a ricordarcene l'esistenza. E lo spettacolo sono quelli che stavano sulle torrette, sono loro i giocolieri dialettici, quelli che furono i "politici".

Ed ogni tanto si giocano il Jolly, con lo scoop del momento. Poi, a turno, si confrontano nel Fil Rouge...

Mah, forse invece è sempre stato così. Forse l'idea che la massa fosse al centro delle (morbose?) attenzioni dei politici è solo un'impressione o un ricordo di gioventù, età in cui si scambiano spesso e volentieri gli entusiasmi per certezze...

Rimane il fatto che dalle "campagne" siamo passati, con insensata leggiadria, alle "camporelle" elettorali. Con tanti saluti alle masse.



Hans plays with Lotte, Lotte plays with Jane, Jane plays with Willi, Willi is happy again
Suki plays with Leo, Sacha plays with Britt, Adolf builts a bonfire, Enrico plays with it
-Whistling tunes we hid in the dunes by the seaside
-Whistling tunes we're kissing baboons in the jungle
It's a knockout
If looks could kill, they probably will
In games without frontiers-war without tears
Games without frontiers-war without tears
Jeux sans frontieres